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Corriere della Sera - 7 novembre 2016

Sono tanti i cervelli in fuga dal Belpaese, e ahimè, pochi rientrano. Il perchè lo sappiamo tutti. Ma anche sul fronte industriale molte aziende italiane ormai delocalizzano la produzione all’estero. E poche, anzi pochissime, decidono il “come back to Italy”. Ma a volte ritornano. Ebbene Noonic, una digital startup padovana, appartiene a quest’ultima categoria. Perché nel giro di quattro anni, prima si è trasferita in India per sviluppare software e applicazioni. Poi ha deciso di rientrare in Veneto e proseguire nell’attività con risorse locali. Di fatto un felice esempio di back reshoring. Temine inglese con cui viene indicato il rientro delle attività spostate all’estero. Il motivo? Lo spiega in poche parole al Corriere Nunzio Martinello. Uno dei fondatori assieme a Nicola Possagnolo e Sebastiano Favaro, tutti ventisettenni.

«L’affidabilità dei programmatori italiani è di gran lunga superiore a quella dei softwaristi indiani, propensi a cambiare azienda con troppa facilità». Un motivo più che sufficiente per i tre startupper per abbandonare il subcontinente asiatico. Perché la fedeltà di un softwarista è una leva fondamentale per lo sviluppo di prodotti e servizi richiesti dai clienti. Ma andiamo con ordine per capire che cosa è successo. Tutto inizia al liceo Cornaro di Padova. Nunzio e Sebastiano a 17 anni sono già smanettoni del computer. Tra loro nasce subito empatia. Iniziano a incontrarsi in biblioteca per elaborare semplici programmi. Dopo la maturità la scelta di informatica è una via obbligata e lì Nunzio scopre le potenzialità delle app. Da autodidatta comincia a svilupparne per i Social, in particolare come supporto a Facebook. In meno di un anno raggiunge l’impressionante numero di 250 milioni di utenti.

Visto il successo nel 2010 viene notato da Ennio Doris che lo chiama per il marketing digitale di “i’m Watch”. E’ la startup veneta che sta mettendo a punto il primo smartwatch made in Italy. «L’offerta era troppo allettante, a 21 anni mi offriva una posizione di rilievo così ho deciso di lasciare l’Università per dedicarmi a tempo pieno al progetto». L’anno successivo i tre amici si ricongiungono e fanno il grande passo. Fondano Noonic una startup che da web agency sviluppa app e software per le aziende. Il nome, peraltro originale, arriva dalle iniziali di Nunzio e Nicola, dove al posto della “u” decidono secondo il Google style di mettere la “oo”. Ma la novità è un’altra. E non da poco. Optano per aprire l’attività in India. «Allora ci appariva come il Paese delle opportunità, l’Eldorado per gli sviluppatori software – racconta Nicola - in effetti lo è ancora oggi, ma non tutto è stato così semplice come ci aspettavamo».

I tre partono investendo risparmi personali, 2500 euro a testa per il viaggio e l’apertura della prima sede a Trivandrum in Kerala. Partono con lo sviluppo del primo sito internet. Noonic cresce in fretta e inizia a fatturare, in pochi mesi arrivano a una ventina di persone. A febbraio 2013 il team si sposta a Bangalore, cuore della «Silicon Valley» indiana. Una megalopoli di 9 milioni di abitanti, con una cittadella informatica nata nel 2000 dove prima c’erano campi. Adesso ci sono colossi del calibro di Tata Consulting, Infosys e Wipro. Le tre multinazionali indiane del software che da sole danno lavoro a mezzo milione di persone e fatturano ogni anno come una manovra finanziaria italiana. Così Noonic approda nel cuore mondiale del software, ma i tre padovani si accorgono che nonostante l’offerta di ingegneri informatici a 500-600 euro al mese c’è un problema. Quello del turn over e della scarsa fidelizzazione all’azienda.

«Era difficile tenere un programmatore per più di dodici mesi - spiega Nicola - con il problema non da poco di riprendere progetti sviluppati da altri». Così a inizio 2016 dopo quattro anni di esperienza indiana i tre soci decidono il rientro in Italia. Adesso sono già nella nuova sede padovana con una quindicina di giovani talenti del Belpaese. «Perché diciamolo pure, gli indiani saranno sgobboni ma spesso si irrigidiscono nel lavoro, dimostrando poca flessibilità - conclude Sebastiano - invece quando si parla di creatività e mettere in campo idee innovative gli italiani non temono rivali». Provare per credere.

LA SILICON VALLEY INDIANA
Bangalore nell’India del Sud si trova a mille metri di altitudine, il clima è temperato con infrastrutture superiori alla media nazionale. Non avendo sbocchi sul mare, né industrie pesanti, ha da sempre puntato su Università, scienza e tecnologia. Non per nulla nel 1903 circolava nelle vie sterrate la prima automobile del subcontinente indiano. Due anni dopo è stata accesa la prima lampadina elettrica. Oggi oltre 2500 big dell’hitech, sfornano nei labs di Bangalore software e applicazioni digitali a ritmo continuo. E’ famosa per la maggiore concentrazione mondiale di call center.






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